Immagini cerebrali nella conversione motoria o paralisi isterica
GIOVANNA REZZONI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 08 aprile 2017.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE/RASSEGNA/DISCUSSIONE]
Che fine ha fatto l’isteria del celebre professor
Jean Martin Charcot, quella delle donne presentate
come fenomeni da fiera nelle solenni aule della Salpêtrière,
a Parigi, dove accorrevano da mezza Europa giovani medici, incluso Sigmund
Freud, per assistere al loro trattamento ipnotico?
L’abolizione della categoria diagnostica, in
riconoscimento di un erroneo approccio culturale che contribuiva a creare
stereotipi non corrispondenti ad un profilo di fisiopatologia psichica, non ha
però risolto il problema della reale esistenza dei fenomeni psicopatologici
nucleari della sindrome. Fino agli anni Ottanta del Novecento si distingueva
un’isteria di dissociazione, in cui
prevalevano i fenomeni amnesici (amnesia
dissociativa), da un’isteria di
conversione, in cui si assisteva a manifestazioni clinicamente rilevanti,
quali paralisi senza lesioni nervose o muscolari e, dunque, totalmente
reversibili (conversione motoria). Nella
pratica psichiatrica corrente queste due manifestazioni cliniche sono
considerate in forma isolata o nel quadro di altre sindromi psicopatologiche.
Il disturbo di
conversione, che oggi si tende a definire disturbo neurologico funzionale (FND, da functional neurologic disorder),
può essere indagato in vivo nel
cervello attivo delle persone affette, mediante metodiche e tecniche di
neuroimmagine in grado di documentare somiglianze e differenze con i quadri
funzionali rilevati nelle persone prive del disturbo. Aybek
e Vuilleumier hanno pubblicato una rassegna
dettagliata di questi studi di osservazione e rilevazione di immagini in vivo, offrendo una documentazione
preziosa per fare il punto delle conoscenze in questo ambito.
(Aybeck S. & Vuilleumier P., Imaging studies of functional neurologic disorders. Handbook of Clinical Neurology 139: 73-84, 2017).
La provenienza
degli autori è la seguente: Neurology Service, Geneva University Hospitals,
Geneva (Svizzera); Laboratory for Behavioural
Neurology and Imaging of Cognition, Department of Neuroscience, University of
Geneva-Campus Biotech, Geneva (Svizzera).
L’individuazione nosografica del disturbo isterico è
venuta a cadere insieme con quella delle altre sindromi “nevrotiche” concepite
quali forme di scompenso di tipi di personalità. In altri termini, è venuta
meno la concezione secondo cui in una personalità fobica lo scompenso avrebbe
prodotto una nevrosi fobica, in una personalità isterica lo scompenso avrebbe
causato una nevrosi isterica, e così via.
Le critiche, però, alla concezione del quadro
clinico dell’isteria, spesso considerata una forma di disturbo esclusivamente
femminile, caratterizzato da tratti quasi caricaturali di volubilità, seduttività, fantasiosità, suggestionabilità, immaturità
affettiva ed oppositività verso uomini psicologicamente
percepiti come autorità, hanno una lunga tradizione e varie origini. In epoche
più recenti è stato rilevato che lo stereotipo della donna isterica era in
parte il prodotto di una sottocultura maschilista che, in pieno diciannovesimo
secolo, sembrava non riuscire a rinunciare ad un termine legato ad un’idea
risalente alla medicina ippocratica del IV secolo a.C., e che oggi ci appare
quanto meno bizzarra: l’instabilità della donna veniva fatta risalire all’utero
(hystèra),
dagli antichi ritenuto un organo mobile, in grado di spostarsi all’interno del
corpo e causare, con i suoi movimenti, alterazioni affettive ed emotive.
“Nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, benché la
teoria dell’utero di Ippocrate non potesse essere più sostenuta nel suo
significato letterale, molti osservatori continuarono a vedere delle
connessioni tra l’isteria e le emozioni sessuali. Secondo Ellis[1], Villermay asseriva nel 1816 che le cause più frequenti
dell’isteria erano la privazione dei piaceri dell’amore, il dolore connesso a
questa passione e le alterazioni del ciclo mestruale”[2]. Dopo
questo periodo, lo sviluppo della neurologia e della semeiotica neurologica
basata sul metodo anatomo-clinico, che aveva
consentito di far risalire a lesioni cerebrali disturbi in precedenza
considerati psichici, facilitò l’affermarsi della tendenza ad interpretare
tutti i fenomeni mentali in termini di fisiologia o patologia strutturale del
cervello. In altri termini, cade in discredito l’ipotesi del disturbo sine materia.
“La corrente principale, d’accordo con Briquet, negava ogni connessione tra l’isteria e la
sessualità. In breve, dopo duemila anni di discussione, l’isteria venne ad
essere considerata una malattia organica piuttosto che essenzialmente psichica,
e il ruolo dei disturbi sessuali nella sua patogenesi venne trascurato”[3].
Jean Martin Charcot,
sebbene fosse convinto che alla base dell’isteria, e particolarmente dei
sintomi di conversione, vi fosse una predisposizione ereditaria, ritenne i
traumi emotivi la vera causa delle manifestazioni patologiche, e dimostrò
l’efficacia delle suggestioni ipnotiche nel determinare la remissione dei
sintomi. Pierre Janet, allievo di Charcot,
condivideva l’idea della predisposizione, ma approfondì lo studio della
cognizione e delle amnesie che interpretò come fenomeni dissociativi. Nel 1893
Josef Breuer e Sigmund Freud pubblicarono Il meccanismo psichico dei fenomeni isterici,
resoconto di un nuovo metodo di studio e terapia dell’isteria, seguito due anni
dopo dagli Studi sull’isteria che,
presentando l’origine sessuale della nevrosi, la rimozione come meccanismo di
difesa, il valore simbolico del sintomo e l’importanza del transfert, segnano
di fatto la nascita della psicoanalisi.
I termini isteria,
isterismo e nevrosi isterica sono conservati nel secolo successivo e, nonostante
le teorie psicodinamiche, fenomenologiche e neurobiologiche abbiano più volte
cambiato connotazione e contenuti a questo ambito nosografico, solo negli
ultimi decenni del secolo si è riconosciuta una significativa casistica
maschile.
La storia recente è legata all’evoluzione della
diagnostica psichiatrica, all’egemonia internazionale del Manuale Diagnostico
Statistico (DSM) dell’American Psychiatric Association, con i suoi limiti e le sue scelte spesso
controverse, e infine ai tentativi di sviluppare nuove cornici teoriche entro
cui organizzare i dati sperimentali per dare un fondamento scientifico alla
fenomenica clinica osservata.
Tanto premesso, torniamo ai contenuti della rassegna
di Aybek e Vuilleumier.
Se c’è un merito che si può riconoscere senza tema
di errore alla psichiatria classica, in materia di sindromi isteriche, è l’aver
stabilito con certezza che la sintomatologia in questione è realmente prodotta
dal sistema nervoso centrale dei pazienti e, per definizione, non è in gioco la
simulazione. Anzi, si studiavano i criteri di diagnosi differenziale fra
sintomo isterico e simulazione, anche per i casi più difficili, come quelli
appartenenti alla casistica della sindrome di Ganser.
Si può non condividere l’interpretazione simbolica freudiana dei sintomi, così
come i meccanismi psichici ipotizzati dal padre della psicoanalisi, ma si deve
riconoscere che quell’approccio al paziente consente facilmente di escludere la
simulazione nei veri casi di conversione motoria.
Molti ricercatori che hanno indagato per immagini il
disturbo neurologico funzionale sono,
in questo senso, tornati indietro all’epoca pre-psichiatrica,
quando i neurologi non credevano nell’esistenza dei disturbi da conversione e,
in assenza di paralisi, etichettavano questi pazienti quali simulatori. Infatti,
uno dei primi quesiti posti al vaglio delle immagini è se i deficit di conversione
motoria possano essere considerati una forma di simulazione, ossia una semplice
assenza di movimento volontario, o, al contrario, vi sia un disturbo del
controllo motorio, come ad esempio un’inibizione anomala. Evidenze convergenti
di studi diversi, realizzati usando differenti tecniche e paradigmi, hanno
dimostrato patterns
distintivi di attivazione del cervello associati a deficit funzionali, a differenza
di quanto rilevato in attori che simulavano questi deficit nei gruppi di
controllo.
Le neuroimmagini mostrano, nei pazienti affetti da
FND motorio, un’evidente ipoattivazione
delle vie motorie corticali e sottocorticali, con un frequente aumento di attività in altre aree
cerebrali, topograficamente localizzate all’interno della regione appartenente al
sistema limbico. Non si rilevava,
invece, alcun reclutamento delle regioni
prefrontali associate all’inibizione motoria volontaria. In altri termini,
a fronte di un reperto compatibile con una riduzione di funzione del sostrato
cerebrale del movimento, non si rilevava un impegno della base neurale del
controllo inibitorio volontario di atti finalizzati e spostamenti di segmenti
corporei.
Altri studi hanno evidenziato una disfunzione nell’integrazione sensomotoria, associata a disfunzione parietale, e un’anomala
pianificazione motoria riferita all’area
motoria supplementare e ad aree
prefrontali.
Questi rilievi suggeriscono che, non solo i sintomi
funzionali riflettono una reale disfunzione cerebrale, ma forniscono nuovi
elementi per comprendere la genesi dei sintomi.
Un numero minore di studi ha tentato di capire
perché questi sintomi sono prodotti e associati a potenziali fattori di innesco
o di rischio psicologico ed emozionale. I risultati di tali studi indicano una regolazione limbica anomala con un’accresciuta reattività emozionale ed accentuata
attività dell’amigdala, potenzialmente rapportata all’impegno di sistemi
difensivi e comportamenti motori stereotipati, mediati dalla corteccia prefrontale mediale e da
strutture subcorticali, inclusa l’area del grigio
periacqueduttale e i nuclei della
base encefalica.
Vari altri studi, testando differenti domini
sintomatici, hanno riportato un anomalo reclutamento della corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC), una regione nota per
la regolazione della valutazione
emozionale, per la rievocazione
mnemonica e per le rappresentazioni
auto-riflessive. Aybek e Vuilleumier osservano che la vmPFC potrebbe
fornire importanti segnali di modulazione a circuiti corticali e sottocorticali
sensomotori, visivi ed anche mnemonici, promuovendo un cattivo adattamento nei
comportamenti autoprotettivi basato su personali valutazioni affettive di
particolari eventi. Una migliore comprensione di un tale ruolo della vmPFC nel
disturbo neurologico funzionale potrebbe aiutare a capire come e perché i
sintomi un tempo definiti isterici si sviluppano.
Concludiamo condividendo l’auspicio degli autori
dello studio di nuove ricerche finalizzate alla definizione degli schemi di
attivazione cerebrale specificamente associati ai differenti tipi di deficit,
nelle varie fasi di evoluzione del disturbo.
L’autrice della nota ringrazia il
professore Giovanni Rossi per la collaborazione e la dottoressa Isabella
Floriani per la correzione della bozza, e invita alla lettura delle recensioni
di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
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